Trascrizione

Ciao a tutti, benvenuti al corso Come Strutturare un Piano Editoriale Efficace, comprendendo le evoluzioni dei social media. Io mi presento, sono Giuliana Curato e sono la Social Media Manager e Content Creator di Studio Samo attualmente, ma nella vita appunto faccio questo bellissimo lavoro che credo che sia un bellissimo lavoro perché offre tante opportunità, tanti spunti e ti mette sempre quotidianamente alla prova. Lavoro nel digital dal 2018, ho iniziato occupandomi un po’ anche di advertising per poi capire che ecco la mia strada era appunto quella di concentrarmi sulla comunicazione e realizzare appunto piani di comunicazione, progettarli dall’inizio fino alla fine, gestirli e quindi anche ideare e creare contenuti, declinandoli per le varie piattaforme che tutti usiamo e conosciamo. Tutto questo lo faccio grazie all’analisi dei dati perché anche chi si occupa di social media e fa il social media manager deve essere comunque in grado di leggere i dati, sapere dove trovarli e capire come applicarli al meglio per il proprio lavoro. Con questo corso andiamo a vedere l’evoluzione dei social media nel tempo, da dove siamo partiti per capire quello che dobbiamo fare oggi per poter realizzare dei piani editoriali per i nostri canali social che siano dei piani editoriali pensati per gli utenti e non soltanto per comunicare i prodotti o i servizi che proponiamo. Partiamo con la parte dedicata appunto a capire quello che è successo, da dove siamo partiti, dove siamo andati e dove stiamo in questo momento. Parto con questa slide che sicuramente tantissimi di voi saranno pensando, oddio che brutta! E’ voluta, perché? Perché noi siamo partiti da questo punto, siamo partiti dal iniziare a utilizzare i canali social prettamente in modo unidirezionale, cioè io azienda aprivo il mio canale social che poteva essere facebook, instagram, twitter, linkedin, pensando sole ed esclusivamente a pubblicare dei contenuti, chiamiamoli prodotto centrici, focalizzati su, prettamente sull’azienda, prettamente sul prodotto, a scrivere, a comunicare, io sono l’azienda migliore di tutti, io ho il prodotto migliore di tutti, senza aver la possibilità di interfacciarsi con le opinioni, con ciò che l’utente pensa, pensava di questa azienda, del prodotto di questa azienda. Quindi siamo partiti da una comunicazione unidirezionale per arrivare poi ad una comunicazione bidirezionale. L’utente, c’è stato un periodo nel quale, periodo che comunque in un certo senso vale tutt’ora ovviamente, poi l’utente poteva interfacciarsi con l’azienda, poteva iniziare a interagire con con essa, quando parlo di azienda ovviamente mi riferisco anche alla figura professionale, non solo all’azienda, alla grande azienda, il brand che vende prodotti e servizi, mi riferisco anche eventualmente a un commercialista, un dottore, un dentista, qualunque ecco figura abbia la necessità di essere presenti sui propri canali per proporre i propri servizi o prodotti. L’utente quindi, dicevamo, con il passare del tempo e con l’evolversi anche delle varie piattaforme, ha avuto la possibilità di poter iniziare a interagire con con queste aziende, commentando i post, potendo scrivere anche in privato a queste aziende, quindi vediamo anche l’utilizzo di Twitter come un canale preferenziale per fare customer service, nomino alcune aziende, ad esempio la Vodafone, la Wind, che utilizzavano appunto i loro profili Twitter per rispondere a problematiche dell’utente, reclami, anche per raccogliere feedback sui prodotti e servizi offerti, ma in ogni caso c’era un, comunque anche se c’era questa possibilità di comunicare tra azienda e utente, c’era comunque un rapporto un po’ più umano, chiamiamolo così, non era soltanto un’azienda che postava dei contenuti senza avere un riscontro, senza avere la possibilità di avere un riscontro da parte dei suoi utenti, vediamo che nel tempo questi social sono cambiati ulteriormente portandoci ad avere una situazione in cui è l’utente ad avere il coltello dalla parte del manico, questo perché? Perché se fino a poco tempo fa, mi viene da dire anche poco prima della pandemia, erano le aziende che conducevano i giochi sui canali, sui vari canali, sulle varie piattaforme, adesso anche in seguito purtroppo al periodo che ci ha visti molto più attivi su internet in generale, non solo sui social, ma proprio sul web, l’utente è diventato molto più esigente, è diventato molto più attento a ciò che viene realizzato e pubblicato sui vari canali e ovviamente con il passare del tempo le sue richieste diventano sempre molto più specifiche, hanno, l’utente ha la necessità di vedere ciò che desidera in modo molto più aggressivo diciamo, anche se è un termine un pochettino abusato, rispetto a quanto vedeva prima. Prima si faceva magari catturare dal contenuto fatto bene, dal contenuto realizzato in un determinato modo, piuttosto che dal contenuto fatto, fai da te, diciamo in casa, homemade. Adesso l’utente ha un modo di approcciarsi alle piattaforme più vicino ai suoi bisogni, alle sue aspettative, a ciò che lui effettivamente si aspetta di vedere nella vita reale, si aspetta di vedere anche sui social. Questo perché l’evoluzione naturale che è stata quella dei social lo ha portato ad essere il padrone indiscusso di ciò che noi come aziende dobbiamo creare e mettere, e pubblicare. Quindi per noi azienda la festa è finita, i consumatori ormai, gli utenti, sono diventati, come vi dicevo poco fa, esigenti e chiedono molti contenuti in modo molto veloce. Noi ovviamente in quanto azienda abbiamo anche un vantaggio da questa situazione, perché nel momento in cui l’utente chiede più contenuti vicini alle sue necessità, ai suoi bisogni, noi come azienda, come professionisti del settore, possiamo ricavare molti più dati rispetto a quelli che avevamo a disposizione prima per poter comprendere effettivamente il bisogno del nostro utente e così poter realizzare dei contenuti che siano di rilevanza e soprattutto contenuti pertinenti all’interesse del nostro utente finale. Tutto questo discorso introduttivo, diciamo così, chiamiamolo così, ve l’ho fatto per arrivare a parlare appunto del percorso che il nostro utente fa per arrivare dalla scoperta del nostro brand o prodotto o servizio fino all’acquisto. Questo che vedete nella slide è il Messi Middle. Sicuramente tantissimi di voi ne avranno sentito parlare, è l’evoluzione del customer journey, cioè se prima avevamo un customer journey lineare fatto di pochi, più o meno pochi touch point, sicuramente dipende ovviamente dal settore in cui operiamo e del prodotto in cui vendiamo. Adesso, come è stato messo in evidenza dallo studio di Google, il viaggio dell’utente è diventato molto più complesso e articolato. Non è un viaggio lineare, ma è un viaggio che nella parte centrale di questo percorso diventa quasi un loop, ed è la parte centrale quella in cui noi social media manager dobbiamo andare a inserire i nostri contenuti del nostro piano editoriale appunto per poter catturare così l’attenzione del nostro utente e cercare di convincerlo, anche se non si tratta proprio di un convincimento, ma si tratta di arrivare ad attirare talmente tanto la sua attenzione, rimanere talmente tanto impressi nella sua mente con i nostri contenuti da fargli fare lo step successivo per arrivare all’acquisto. Perché? Perché nella fase intermedia del Messi middle l’utente non cerca soltanto la soluzione più economica al suo bisogno, cerca anche la soluzione migliore, quindi una volta individuato il prodotto di cui lui ha bisogno, che è il nostro trigger, inizia la sua fase di esplorazione, quella in cui inizia a valutare diversi brand, diversi prodotti, diversi marchi, diverse proposte appunto, ed è la fase di esplorazione. Da qui passa la fase di valutazione. La valutazione la fa attraverso recensioni, attraverso articoli di blog che parlano di un prodotto piuttosto che dell’altro, parlano con gli amici ovviamente, fanno delle ricerche sui vari forum, sui gruppi, dai vari canali, leggono i commenti degli altri utenti e qui questa fase di valutazione è una fase molto delicata, perché in questa fase oltre ad acquisire informazioni utili per scegliere un determinato prodotto o servizio, potrebbero anche imbattersi in nuovi prodotti e nuovi servizi e potrebbero riportare l’utente nella fase di esplorazione. Quindi per questo la parte intermedia del nostro Messi Middle è rappresentata come un incrocio di cerchi, una specie di segno di infinito, perché è un loop e noi dobbiamo cercare di far uscire l’utente da questo loop e portarlo alla fase di purchase, appunto di acquisto. Come lo facciamo tutto questo? Dobbiamo lavorare sulla fiducia, noi dobbiamo cercare di instaurare con i nostri utenti un rapporto che sia empatico, non possiamo più pensare di realizzare dei contenuti che parlino soltanto delle caratteristiche del nostro prodotto, del nostro servizio, ma dobbiamo cercare di fondere la comunicazione del nostro brand, del nostro marchio con il racconto delle caratteristiche dei nostri prodotti e del nostro servizio. Sono due aspetti che non possono più camminare diciamo parallelamente o essere sottovalutati uno rispetto all’altro, ma devono avere lo stesso peso nella costruzione del nostro piano editoriale e tenere in considerazione proprio quello che ci siamo detto all’inizio di questa lezione, che le persone ormai sono sempre più consapevoli e cercano un valore, cercano il valore reale che il brand ha in sito in se stesso e che comunica sui suoi canali. Però tutto questo è in un certo senso influenzato da un problema, problema tra virgolette ovviamente, perché non è un problema reale, è un problema di contenuti. Contenuti che sono ai quali siamo stati abituati nell’ultimo periodo, circa negli ultimi due anni specialmente, e sono gli influencer. Quando parlo di influencer ovviamente mi riferisco a tutte le tipologie di influencer, non soltanto agli influencer più conosciuti e famosi, ma mi riferisco anche ai micro-influencer che fanno parte di nicchie ristrette, che hanno una cerchia di utenti molto piccola a seguirli. Però loro con la produzione dei loro dei propri contenuti hanno cambiato il modo di comunicare e di creare una relazione tra brand, libro professionista e utente. Come vediamo in questa slide ad esempio, queste sono tre influencer appartenenti a tre categorie differenti e credo che nessuno di voi le conosca, ma hanno una community molto forte. Perché? Perché ovviamente raccontano delle problematiche, rispondono a dei dubbi, condividono le esperienze, le conoscenze, le loro passioni con un modo che possiamo definire molto spontaneo. Perché? Perché si immedesimano nei loro utenti, sanno che loro parlando in un determinato modo, raccontando di determinate cose, raccontano gli stessi problemi, le stesse esperienze dei loro utenti. Ad esempio, nel primo screenshot possiamo vedere che c’è questa mamma che ha un profilo dedicato appunto alla nicchia delle mamme nel quale racconta giornalmente diverse problematiche che tutte le mamme possono riscontrare quotidianamente con i loro bambini e ovviamente si scambiano consigli, suggerimenti, ma qui parliamo ovviamente di relazioni che diventano più diciamo discorsive. Ovviamente poi c’è l’aspetto della mamma che consiglia un determinato prodotto oppure un servizio dedicato al proprio bambino. Sicuramente una mamma che ha un seguito, che ha comunque una community forte, darà un consiglio che sarà molto più apprezzato e preso in considerazione piuttosto che da una persona che del mondo mamme non sa nulla. Oppure vediamo nel terzo screenshot questa ragazza che racconta quotidianamente la sua passione che è quella del trekking, dà consigli su come vestirsi, quale abbigliamento scegliere per andare in montagna piuttosto che le scarpe. Questo particolare screenshot tra l’altro è una collaborazione quindi da qui si intuisce la potenzialità di questo tipo di contenuti perché se un’azienda decide di contattare un influencer che in questo caso è sconosciuto ai più ma è conosciuto soltanto appunto dalla nicchia alla quale la persona si sta rivolgendo diciamo che viene spontaneo e naturale rendersi conto che questo tipo di contenuti è quello che in questo momento funziona di più. Passiamo adesso a parlare degli obiettivi che noi possiamo perseguire con il nostro piano editoriale. Ovviamente sono obiettivi pensati sicuramente e principalmente per il nostro piano editoriale che deve essere sempre da supporto al nostro piano pubblicitario. Piano editoriale e piano pubblicitario devono essere sempre realizzati uno in conseguenza dell’altro. Gli obiettivi del piano editoriale a differenza degli obiettivi del piano pubblicitario che portano risultati ovviamente in tempistiche differenti e anche in un arco di tempo più breve rispetto al piano editoriale hanno la necessità di avere a mente che l’obiettivo al di là di quale scegliamo deve avere come focus le interazioni nel tempo proprio perché vi dicevo poco anzi che a differenza del piano pubblicitario il piano editoriale non può essere valutato in un arco di tempo piccolo. Quindi se noi pensiamo di mettere a terra un piano editoriale e valutarne i risultati dopo 15 giorni, dopo due mesi, no. Nel senso non vedremo risultati e penseremo che stiamo facendo un brutto lavoro, un cattivo lavoro. Gli obiettivi del piano editoriale si si valutano in un arco di tempo molto più lungo quindi andiamo a vedere nel dettaglio quali sono i nostri obiettivi e vi salterà subito all’occhio il fatto che io li definisco oltre la visibilità ad esempio perché per me, dal mio punto di vista e dalla mia esperienza, credo che realizzare un piano editoriale e aspettarsi di ottenere dei risultati dopo poche settimane non ha molto senso. Quindi oltre la visibilità significa ok, io sto realizzando un contenuto per questo obiettivo, sto realizzando il mio piano editoriale per questo obiettivo, ma devo valutarlo da qui a sei mesi, da qui a un anno. Posso valutare ovviamente l’andamento giornaliero, settimanale, mensile, però devo prendere quei dati, metterli da parte, continuare con il mio lavoro, cercare eventualmente di migliorarmi se ci sono delle problematiche evidenti, ma aspettare pazientemente di poter valutare effettivamente il lavoro che sto facendo. Poi ripeto, ovviamente sono dati che devo valutare anche in base al piano pubblicitario in essere. E’ altra cosa che mi preme sottolineare che anche il piano editoriale dovrebbe avere un budget dedicato. Sponsorizzare i contenuti del piano editoriale per raggiungere i diversi obiettivi che ci siamo prefissati è sempre la scelta migliore. Ad esempio vediamo appunto l’obiettivo della visibilità per fare brand awareness. Possiamo puntare sulla brand reputation oppure l’aumento del brand engagement, quindi l’engagement del nostro prodotto, del nostro brand. In questo caso andremo a visualizzare come metriche l’impression e la reach, ovvero le impressioni e la copertura. Nella slide vi ho portato come esempio un contenuto, un reel di Studio Samo appunto, dove il parametro che a me interessava valutare era sì la copertura del post, del contenuto, ma in questo caso il parametro che più mi interessava sono stati i salvataggi, perché da questo parametro sono riuscita a valutare il tipo di contenuto realizzato e l’efficacia di questo contenuto per il nostro pubblico. Altro obiettivo che possiamo inseguire con il nostro piano editoriale è le visualizzazioni, quindi oltre le visualizzazioni. Qui vi ho inserito delle schermate di TikTok in particolare per farvi capire che quando noi abbiamo come obiettivo da raggiungere attraverso il nostro piano editoriale l’aumento delle visualizzazioni del video, dobbiamo valutare diversi fattori. Ovviamente nel momento in cui il nostro contenuto verrà sponsorizzato andremo a valutare il CPM, ovvero il costo per mille impression, oppure il CPR, ovvero il costo per la people reach, il costo per mille people reach, quindi per mille persone raggiunte. Se invece nel caso il nostro piano editoriale non dovesse essere sponsorizzato, ad esempio le schermate che vi ho inserito sono di un contenuto TikTok che non è stato sponsorizzato, io andrò a valutare l’insight direttamente dalla piattaforma e valuterò il contenuto in base alla durata media di visualizzazione dello stesso contenuto. C’è tutta una serie di parametri che anche le diverse piattaforme mettono a disposizione che ci aiutano a capire se effettivamente i contenuti che stiamo realizzando ci aiutano effettivamente a raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati. Altro obiettivo che possiamo raggiungere o prefiggerci di raggiungere con il nostro piano editoriale è l’obiettivo traffico. Ovviamente ci riferiamo al traffico verso pagine esterne ai canali social, quindi può essere il nostro sito web, può essere una landing page specifica, può essere anche un articolo specifico del nostro blog. Infatti, ad esempio, spero che si veda bene nella slide, qui vi mostro come grazie a Google Analytics possiamo andare a reintercettare e verificare il traffico che dai nostri canali social portiamo al nostro sito web o landing page o articolo di blog. Ovviamente il parametro, la metrica che andremo ad analizzare per valutare se stiamo facendo bene con i nostri contenuti sarà il click sul link, quindi andremo a controllare il CTR e il CPM, questo sempre legato alla sponsorizzazione. Qui vi faccio vedere la schermata che si riferisce allo screenshot precedente di Google Analytics in modo da poter recuperare quel report, ma dopo vedremo come farlo nel dettaglio. Con il nostro piano editoriale, oltre a perseguire obiettivi di brand awareness, possiamo perseguire anche, molto in piccolo ovviamente, per quanto c’è possibile, degli obiettivi di performance. Quindi uno degli obiettivi che possiamo prefiggerci e cercare di raggiungere attraverso il nostro piano editoriale è sicuramente quello di lead generation, quindi possiamo pensare di creare una lista di contatti interessati al nostro prodotto o servizio grazie alla pubblicazione di contenuti che rimandano magari successivamente all’iscrizione oppure chiedono esplicitamente il contatto, in modo da crearci appunto questa lista di contatti possibilmente interessati al nostro prodotto per poi mettere a terra altre azioni di marketing, come ad esempio strategie di main marketing, direct marketing, possiamo effettivamente creare, possiamo applicarlo, utilizzarlo in diverse strategie e ovviamente per quanto riguarda questo obiettivo andremo a controllare il costo per contatto. Altro obiettivo che possiamo voler raggiungere attraverso il nostro piano, con l’aiuto del nostro piano editoriale è la conversione. Qui nello specifico lo screenshot che vi mostro io riguarda l’acquisizione di follower, quindi l’aumento di follower, ma la conversione per quanto riguarda i social ovviamente può essere intesa in diversi modi, cioè può essere un click a un determinato link, che può essere quello di una landing page, appunto come vi ho mostrato, come vi sto mostrando nella slide, l’aumento dei follower, l’iscrizione alla newsletter, perché no, anche l’acquisto. Tutto questo attraverso ovviamente la famosa call to action che ovviamente renderizza un link specifico, quindi mi ripeto, potrebbe essere una landing page di acquisizione contatti con un form, piuttosto che il link diretto alla nostra pagina di vendita di un determinato prodotto, oppure appunto il link diretto per iscriversi a una newsletter. Vediamo ora la parte dei TPI. Per quanto riguarda i social media ovviamente abbiamo diversi TPI da monitorare, da valutare nel corso del tempo, sicuramente variano anche da piattaforma a piattaforma, perché non tutte le piattaforme hanno a disposizione le stesse metriche per valutare l’andamento dei contenuti. Sicuramente quelli più importanti da tenere in considerazione quando realizziamo il nostro piano editoriale sono il numero di follower o di fan, le interazioni, i click sui link che condividiamo, la copertura, il traffico al sito web, le fonti di traffico, il traffico per ogni pagina, i contenuti più performanti e il costo per click. Il parametro principale che dobbiamo prendere in considerazione quando realizziamo il nostro piano editoriale, quindi per valutarne l’andamento, è l’engagement, ovvero il tasso di convolgimento degli utenti. Qui ci tengo a sottolineare che ovviamente quando parliamo di engagement non ci riferiamo soltanto ai contenuti che postiamo sui nostri canali social, quindi su Facebook, Instagram, Twitter, TikTok, LinkedIn, ma ci riferiamo a tutte quelle tipologie di contenuti con le quali l’utente interagisce, quindi può essere una mail, un articolo di un blog, andiamo a vedere anche i contenuti sponsorizzati, quindi l’engagement si riferisce a tutti i tipi di contenuto per il quale l’utente ha dato una reazione, che può essere appunto il like, la condivisione, il salvataggio, il commento. Come calcoliamo questo engagement? L’engagement lo calcoliamo banalmente con una piccola formula, ovvero il numero di interazioni diviso il numero dei follower del nostro profilo o pagina, tutto moltiplicato per cento per ottenere così una percentuale. Le interazioni ovviamente devono essere divise per like, salvataggi, commenti, in modo tale da avere un quadro anche completo di quelle che sono state tutte le interazioni con il nostro contenuto. Le percentuali ovviamente di engagement sono molto variabili da canale a canale e da settore a settore e tutto, cioè questa variabilità delle percentuali dipende molto dal numero di follower di ogni profilo o di ogni pagina. Più sarà alto il numero di follower, questo purtroppo dipende anche dalla pratica malsana che c’è stata qualche anno fa di acquistare follower finti, quindi più i follower saranno alti, più l’engagement diciamo sarà difficile da che sia alto anche quello, perché comunque se le interazioni non sono abbastanza alte, diciamo tipo che sono dati abbastanza forbianti. Comunque mediamente il coinvolgimento, l’engagement su Instagram si aggira più o meno intorno al 3 per cento, mentre su Facebook difficilmente supera l’uno. Vi faccio vedere appunto l’engagement medio di Facebook che è proprio miserino, lo 0,064 per cento, facendo una media tra tutti i settori e poi Riven ci riporta le medie, l’engagement medio diviso per settore, quindi bene o male questo ci fa capire se operiamo in un determinato settore che engagement ci dobbiamo aspettare dal nostro profilo o comunque quello a cui possiamo aspirare. Poi ovviamente se facciamo meglio ben qui invece riportato l’engagement medio di Instagram, anche qui diviso per settori. Vi faccio vedere invece adesso un piccolo esempio di come calcolare su un esempio fictizio ovviamente, numeri finti, tutto pinto soltanto per farvi vedere come andare a calcolare l’engagement manualmente. Poi ovviamente esistono diversi tool disponibili sia a livello gratuito che in abbonamento che ci permettono di avere questi dati in modo più veloce, come ad esempio mi viene da dire Not Just Analytics. Però se vogliamo fare un lavoro un po’ più accurato, valutare noi stessi l’andamento del nostro profilo, dei nostri contenuti, possiamo fare questo piccolo calcolo e ottenere così una media del nostro engagement. Tutto questo che ci siamo detti finora. Cerchiamo di capire a livello monetario come si traduce per il nostro lavoro. Questa è una frase che mi piace molto perché effettivamente riflette ciò che rappresenta tra virgolette il piano editoriale nella mente dei più. È un’affermazione di John Wanmaker che tradotta vuol dire la metà della mia spesa pubblicitaria è sprecata, il problema è che non so quale metà. Quindi noi dobbiamo capire il nostro investimento pubblicitario, specialmente quello dedicato al piano editoriale, dove va a finire e soprattutto se ci riporta qualcosa a livello di guadagno. E qui parliamo di ROI, più o meno, perché calcolare il ROI ovvero il ritorno sull’investimento di un piano editoriale è difficile, anche perché come ci siamo detti prima, nonostante il piano editoriale possa avere diversi obiettivi da raggiungere, è sempre legato al piano pubblicitario, cioè quindi l’aspetto contenuti è comunque legato sempre all’aspetto di advertising. Come vi dicevo anche prima, il discorso è che i risultati del piano editoriale non possono essere valutati nell’immediato, così come quelli del piano pubblicitario, però possiamo arrivare ad avere una risposta grazie a Google Analytics. Google Analytics ci può dare un’idea del nostro ROI e in questo caso infatti parleremo di social media ROI. In che modo? Appunto come anticipato prima, possiamo andare a valutare i nostri guadagni, o meglio, mi spiego meglio, possiamo andare a verificare da quali canali abbiamo avuto più entrate grazie appunto a questo report che possiamo creare all’interno di GA4. Io adesso personalmente non li faccio perché chiedo alla mia collega Francesca Fiorentini, la nostra web analyst, di crearmi questi report, però appunto volevo farvi vedere che si possono valutare tutti questi parametri e vi dimostro anche come arrivare a creare questi report. Se utilizzate GA4 potete seguire tutti questi passaggi per poter arrivare a comprendere da quale social, da quale contenuto è arrivato l’utente che poi ha completato magari l’acquisto. Nella schermata che vi ho fatto vedere, torno un attimo indietro, vi faccio vedere appunto che da tutti gli utenti che sono arrivati ad esempio da LinkedIn, tutte le sessioni che hanno attivato e gli acquisti che hanno portato e questo è riferito alla nostra piattaforma appunto Studio Samo Pro. Quindi qui trovate tutti i passaggi per poter creare anche voi questo tipo di report e sicuramente è uno dei modi che possiamo utilizzare per valutare il nostro ritorno sull’investimento, quindi capire se effettivamente le attività che stiamo portando avanti, che abbiamo messo a terra, stanno funzionando bene oppure no. Altro parametro invece che possiamo utilizzare per valutare l’efficacia delle nostre attività legate al piano editoriale è il MER, oppure il Marketing Efficiency Ratio, che è una metrica utilizzata proprio per valutare l’efficienza delle nostre attività di marketing messe in relazione con tutte le spese sostenute a livello di azienda, di attività. Come lo calcoliamo il MER? Il MER lo calcoliamo dividendo il valore generato dalle attività di marketing, ovvero le vendite, per il costo delle attività di marketing. Vi faccio l’esempio pratico in modo che sia più chiaro. Se a gennaio, ad esempio, abbiamo investito 10.000 euro in advertising, 3.000 in contenuti social, quindi per la realizzazione di contenuti destinati alla pubblicazione sui nostri canali, 2.000 euro per mettere a terra campagne di mail marketing e abbiamo registrato un ricavo di 150.000 euro, vedremo che, grazie a questa formula, ricavo più diviso spesa uguale 10. Ciò significa che, per ogni euro speso di attività di marketing, l’azienda ha generato 10 euro di ricavi. Ovviamente questo è un calcolo puramente ipotetico, a ottenere questi risultati saremmo tutti felicissimi, però giusto per farvi comprendere che se vogliamo valutare effettivamente come stiamo spendendo i nostri soldi a livello di piano pubblicitario e piano editoriale, possiamo utilizzare questa metrica. Anche perché possiamo, grazie al MER, valutare se ciò che stiamo facendo effettivamente ci sta riportando, ci porta comunque un’entrata e non una perdita.

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