1.1 – Introduzione allo Storytelling
Trascrizione
Grazie e benvenuti. Io mi presento, ma prima di presentarmi presento la materia, che credo sia più importante di me. Oggi parliamo di storytelling. Parliamo di storytelling e parliamo di come fondamentalmente far comunicare attraverso i contenuti, quindi come produrre e diffondere contenuti efficaci per il web. Lo facciamo in una maniera un po’ particolare, nel senso che credo che un corso di storytelling debba partire da un concetto, ovvero che cos’è lo storytelling. Puoi spiegare come si usa e quindi come diventa story making, cioè come il comunicare attraverso dei racconti diventa fare in azienda, no? E poi infine che cosa può fare uno storyteller in azienda? Che tipo di lavoro? E se serve davvero uno storyteller in azienda? Perché di solito chi si approccia a questa materia e inizia a lavorare su questa materia, la prima domanda che si pone è ok, ma storytelling lo facciamo perché andiamo a lavorare in azienda o andiamo a lavorare per un’impresa? E quindi è una materia che io posso sfruttare, tra virgolette, per farne una professione? Oppure facciamo storytelling per noi stessi, per imparare a raccontare, per imparare a fare una serie di cose? La risposta è entrambe, però comunque quello che facciamo noi oggi è più finalizzato all’azienda, ma lo faremo attraverso un percorso che riguarda delle capacità, delle abilità narrative da conquistare, ok? Quindi questo è un punto molto importante. Così come un punto molto importante è capire quali sono poi le aziende che hanno bisogno oggi di fare storytelling, se lo fanno già, quali sono quelle che lo fanno già. E un piccolo spoiler che posso darvi è questo, noi vedremo degli esempi di grandi aziende, di grandi multinazionali, però vedremo anche degli esempi di PMI, quindi di piccole e medie aziende o di piccolissime imprese. Questo perché non facciamo l’errore di pensare che lo storytelling sia una materia destinata soltanto a pochi eletti, destinata soltanto a Coca-Cola o alla Nike. C’è un libro bellissimo di Andrea Bettini che si chiama Non siamo mica la Coca-Cola e spiega proprio questo, racconta come effettivamente per fare storytelling non devi essere per forza una multinazionale, però devi aver conquistato un tipo di mindset che non è da tutti. Ora sì posso parlare un attimo di me e posso dire a cosa faccio senza fare elenchi perché mi annoiano. La cosa importante è capire una serie di attività che poi portano forse a questo mestiere perché credo che il mio percorso non sia casuale. Non è casuale perché io nasco giornalista o meglio faccio prima un percorso da giornalista o tuttora un patentino da giornalista, però lavoro da molto tempo nel marketing e quindi lavorare da molto tempo nel marketing vi aiuta un po’ a capire che c’è un match delle due cose. Le abilità del giornalista, di chi scrive per lavoro fondamentalmente è una passione nonché un mestiere per il marketing che sono due cose che si possono incontrare. Spesso si sente dire chi fa marketing non ha nulla a che vedere con il giornalismo, con la scrittura eccetera eccetera. Non è assolutamente così, come non è vero e cosa ben più frequente, che chi ha capacità, passatemi il termine, che non è mio, artistiche, si dice che chi ha capacità artistiche non possa o non debba lavorare nel marketing. Anche questa è una cosa molto sbagliata. Perché dico non è mio il termine? Perché Seth Godin, che penso tutti conosciate, scrive tanti libri su questo tema. Uno bellissimo, poi sicuramente vi manderò una bibliografia perché ne citerò tanti dei libri, è Quel pollo di Icaro. Nel libro Quel pollo di Icaro lui fa capire come le capacità artistiche siano molto utili nel mondo del lavoro, siano molto utili in azienda. Poi ci sono tutta una serie di libri, Ruba come un’artista, Semina come un’artista, e vi fanno capire come delle capacità di scrittura, di pensiero, di strategia legate al mondo dell’arte. Quando dico mondo dell’arte dico sceneggiatura, scrittura, eccetera, siano molto utili nel mondo del lavoro. Oggi io mi occupo di storytelling principalmente per un’azienda che è Banca IFIS di cui sono Storytelling Consultant e con cui appunto ho un impegno ormai da più di un anno per raccontare la banca e tutte le sfaccettature del nuovo rebranding, del nuovo posizionamento di questo marchio. Più tutte le altre cose che vedete, però ripeto a me gli elenchi non piacciono, poi per fortuna c’è Google, quindi potete anche controllare controllare lì. Parto un po’ da questa citazione, una citazione che ci viene incontro, ci è molto utile. Perché mai dovreste analizzare il vostro stile di scrittura? Intanto è un segno di rispetto. Quando parliamo dei vostri lettori, i vostri lettori sono i vostri clienti o diventeranno i vostri clienti. È importante però che voi considerate, e questo è il primo mindset che vi do, un primo consiglio, cominciate a considerare i vostri clienti o potenziali clienti come lettori. Questo consiglio qui è fondamentale perché i vostri potenziali clienti, lo dico anche a chi non lavora oggi, e quindi chi cerca un lavoro, chi cerca un lavoro cosa scrive, cosa pubblica? Scrive un curriculum? Scrive delle mail? Scrive su LinkedIn? Beh anche lui dovrebbe considerare, o lei, dovrebbe considerare i propri clienti come dei lettori. Interessa questa cosa a chi mi legge? Attira l’attenzione? Ingaggia? Ecco, queste domande qui sono fondamentali, altrimenti, come dice Vonnegut, se buttate giù i vostri pensieri come viene, i vostri lettori sentiranno che non vi importa nulla di loro e vi bolleranno come un egocentrico, un confusionario. Fateci caso, quante volte ricevete dei messaggi da qualcuno, anche messaggi su WhatsApp, messaggi mail o DM su LinkedIn, in cui la prima cosa che pensate è ma questa persona cosa interessa di me? Nulla. Non gli interessa nulla di me, interessa solo di se stesso, di quello che mi sta vendendo, di quello che mi vuole dire. Ecco, quell’esempio là portatelo sulle aziende. Quando un’azienda comunica online, comunica sui social, comunica su qualunque piattaforma, voi domandatevi a questa azienda interessa di me o interessa solo se stessa? Perché se interessa solo se stessa difficilmente riuscirà a stabilire un rapporto con il proprio cliente, con il proprio lettore. La domanda è retorica ed è perché siete qui. Alla domanda retorica io rispondo in un modo, per esempio sono qui perché ho un debole per la scrittura e mi sembrava delittuoso non sfruttarlo. Devo partire con una storia però, è inevitabile. Quando io ho iniziato a lavorare, ho iniziato a lavorare in una multinazionale, in un’azienda che si chiamava Indesit Company, oggi si chiama Whirlpool, ho iniziato a lavorare con questa azienda facendo ufficio stampa con loro. Mi occupavo di ufficio stampa e curavo un house organ, un giornale di comunicazione interna dedicato ai dipendenti. Facendo questo lavoro ho capito che mancava ancora qualcosa. Era l’anno del 2005 quando ho iniziato a lavorare e mancava la propensione a creare quella che oggi, io non avevo idea che si potesse chiamare così allora, quella che oggi viene definita una media company. Una media company è un’azienda che crea contenuti, che crea contenuti non tanto destinati a vendere un prodotto, perché quello è il fine ultimo ed è giustissimo che ci sia. Io mi reputo un buon commerciale e lo dico senza vergogna, quindi vendere un prodotto è fondamentale. Però quando un’azienda, una media company crea contenuti, li crea, e torniamo al punto di partenza, per farsi leggere, li crea perché il vero core dell’azienda è comunicare, è informare, è se vogliamo intrattenere o creare un legame virtuoso. Io questo ve lo dico perché, non tanto perché noi non faremo grossissimi voli pindarici oggi, quindi vi chiedo scusa anticipatamente per l’illusione che potrebbe essere stata creata in voi quando si sente storytelling, magari si pensa chissà quali voli pindarici, ma faremo un percorso che ci porterà a considerare come la scrittura, e non solo, ci portano a creare un legame molto più forte con i nostri clienti, con i nostri consumatori. Ieri ho intervistato per Banca Ifis un’azienda che fa aceto balsamico, un’azienda di Modena. Voi immaginate un’azienda di Modena che fa aceto balsamico che deve farsi raccontare. E cosa dici? Come fai a far emergere un tipo di prodotto pur non avendone grande conoscenza, nel senso che non sono un esperto di aceto balsamico? Scopri il valore unico, che nel caso di ieri era il più antico aceto balsamico del mondo, 1605. E da lì crei una grande storia. Quindi, io sono qui perché ondevole per la scrittura, ma non solo per la scrittura, perché comunque se noi parlassimo solo di scrittura, oggi saremmo fuori mercato. Quindi lo storytelling non è più solo scrittura, lo storytelling è tutte queste cose che vedete nella presentazione, tutte queste cose che vedete in questa slide. Fare podcast, fotografia, social media marketing, eventi e tante altre cose, illustrazioni, tutto questo è storytelling. E allora cosa fa uno storyteller? Uno storyteller non è quello che scrive, perché questo ve lo dico prima anche per evitare ancora una volta delle false illusioni. Pensare che lo storyteller sia quello che scrive è riduttivo. O meglio, può anche scrivere, a me piace, io lo faccio, io mi occupo anche della parte, passatemi il termine operativa, che mi piace molto perché amo scrivere, lo faccio, scrivo libri, scrivo romanzi, quindi è chiaro che mi piaccia fare quella cosa, ma se volessi fare tutto da solo probabilmente non ce la farei. Lo storyteller o il chief storyteller, che poi è l’ambizione più alta che possiamo avere, potete avere voi e posso avere io, il chief storyteller è quello che crea una strategia fatta di tanti contenuti. Allora se io voglio fare un podcast dovrò avere qualcuno molto bravo a scriverlo, qualcuno molto bravo a interpretarlo e poi anche avere delle conoscenze tecniche, no? Tecnicamente sapere come faccio un podcast, quanto deve durare, con quali strumenti lo faccio, dove non arriviamo con la competenza tecnica dobbiamo arrivarci con il conoscere le persone giuste o i partner giusti che possono aiutarci a sviluppare un contenuto. Però lo storyteller prima di tutto crea una strategia, crea un pensiero. Tra i miei clienti più piccolini, però io quando parlo di clienti piccoli penso sempre a grandissime palestre di storytelling appunto, c’è una gelateria di Milano che si chiama Gusto 17. Con Gusto 17 abbiamo fatto un progetto che prevedeva l’invio di lettere ai giornalisti e agli influencer, a proposito il tema degli influencer comunque lo toccheremo. Ma dov’è l’idea? L’idea è che queste lettere non erano mail, erano lettere scritte a mano. Ed ecco che l’originalità di forma e contenuto diventa già storytelling. Non so se son chiaro, se io avessi pensato solo al contenuto, una lettera, quel contenuto poteva essere fatto in tanti modi, avrei potuto mandare una mail e dire ciao Cristiano, ciao Francesca, ti voglio inviare il gelato di Gusto 17 per questo motivo qui. Ma se io ti scrivo una lettera a mano e quindi cambia la forma, cambia anche il contenuto. Perché una forma diversa vuol dire il ricordo di un’epoca diversa, il ricordo, altre sensazioni, altre emozioni. Non solo parliamo di sensazioni, parliamo anche di sensazioni tattili. Cosa voglio dire con sensazioni tattili? La lettera tu la tocchi, la mail no. Non sto dicendo che è meglio o peggio, sto dicendo che sono due interpretazioni diverse. Quindi, ricapitolando, forma e contenuto sono fondamentali e lo vedremo nel proseguio per poter raccontare una storia. Anche questa è una domanda retorica, però nella retorica vorrei mettervi al corrente di questa iniziativa che si chiama Pet Rock. La mia domanda è quanto saresti disposto a pagare per un sasso? La risposta è tutto storytelling, ma non è una cosa negativa. Togliamoci dalla testa il fatto che con lo storytelling io posso vendere un sasso a 19,90€ anziché prenderlo gratis a mare. Bravo, bello lo storytelling. Perché pensando questa cosa qui vi viene in mente che uno storyteller è uno che vi vende qualcosa di falso, che in parte può essere anche vero, però è quello che c’è dietro ogni prodotto. Questo sasso qui, Pet Rock, costa 19,90€. Cosa c’è dietro? C’è una storia. La storia è la tua, non è quella del sasso, è la storia di uno come me che magari è pigro e non ha voglia di purare delle piante o semplicemente non ha il pollice verde e quindi qualcuno gli regala un sasso da compagnia. Un sasso da compagnia con una storia, che è quella di Pet Rock, e con tutta una serie di attenzioni che devi dare al sasso. Ora è ovvio che le attenzioni che gli devi dare sono attenzioni molto relative, perché comunque il sasso sta lì e penso che non lo tocchi nessuno. Ma il packaging, l’idea, il nome, la storia, l’andare a toccare dei punti che sono quelli del magari io non ho il balcone, magari io non abito in una città dove posso permettermi di avere un balcone con delle piante e allora si crea una storia che ci porta a porci questa domanda, che è la stessa domanda che ci poniamo per una palla di pezza. Quanto costa una palla di pezza? Secondo me dargli un euro è tanto, però su questo libro qui, che si chiama Significant Object, una palla di pezza è stata venduta a 50 dollari. Perché è stata venduta a 50 dollari? Perché il libro parla proprio di questa teoria, di come alcuni oggetti del valore, con un valore economico molto basso, reale, quindi un valore di 50 centesimi, un euro, sono stati venduti a 20 volte tanto, 30 volte tanto, grazie ad una storia. Mi verrebbe da dire, vi ricordate se qualcuno di voi lo faceva o lo ha mai fatto, il mercatino quando eravate piccoli o piccole, chi vendeva di più? Il bambino che aveva giocato ai più belli, la bambina che aveva giocato ai più belli o la bambina o il bambino che sapevano raccontarli meglio? Perché io ho visto dei bambini vendere delle conchiglie, trovate un’ora prima, ma con una bella storia, vendute a un discreto prezzo, per quanto riguarda un bambino. Tornate un attimo lì, ripensate a quelle scene lì, perché effettivamente quello è un buon punto di partenza per lo storytelling. Un compito quindi dello storytelling è quello di dare continuità alla propria identità. Quando noi diciamo dare continuità, intendiamo che dobbiamo essere bravi a raccontare una storia che sia credibile, che sia autorevole, che sia verosimile e che poi sia continua. Ecco perché io ho bisogno di avere dei punti fermi, ecco perché io vi dicevo quando parlavo dell’aceto Giusti, perché il marchio è questo, quando parlavo dell’aceto Giusti dicevo il più antico del mondo. È il più buono? No. È quello più balsamico? No. È il più antico del mondo. Identità, un valore. Quel valore lì, essere più antichi del mondo, ti permette di creare uno storytelling che vada in continuità con un solo concetto e quindi faccio l’etichetta antica con la carta antica, con i caratteri tipografici e quindi apro il museo dell’aceto balsamico. Faccio tutta una serie di cose che mi portano a dare continuità a quell’idea. Non solo trovare connessioni relazionali. Io grazie allo storytelling posso trovare delle vere e proprie connessioni. Sapete cosa vuol dire avere una connessione relazionale? Vuol dire che io, se uso la leva dell’ironia, io posso connettermi in maniera relazionale con tutte le persone che come me usano quella leva lì. Quindi se voglio commuovere faccio una cosa molto simile e quindi diventa importantissimo trovare questo tipo di connessioni. Perché la connessione relazionale è anche quella che mi permette di generare appartenenza. Come si genera l’appartenenza? L’appartenenza la generi attraverso legami ad alta intensità emotiva. Per farvi un esempio pratico di una grande azienda che parla appunto di questi legami ad alta intensità emotiva, cito Nike, ma non la Nike che conosciamo tutti, perché ci sono campagne famosissime e non staremo a scomodarle. Però in questo caso qui specifico che vedete abbiamo un legame ad alta intensità emotiva. È un marchio, un brand storico, un brand tra i più importanti al mondo, che sceglie una testimonial che rappresenta una serie di cose. Intanto il racconto è quello che leggete, quindi fight for more than just needles. Quindi lotta per qualcosa di più di una medaglia. E lottare per qualcosa di più di una medaglia che cosa vuol dire? Vuol dire che il brand sta realmente, come dice il mio amico Paolo Iabichino che cita spesso questa frase, ma d’altronde è assolutamente vero, sta prendendo posizione. Si sta posizionando, prendendo posizione. E lo sta facendo con una testimonial che è un simbolo non solo in campo, perché è una grande calciatrice, mega arrappinò, è una calciatrice vincente, è la capocannoniere dei mondiali, appena ha vinto i mondiali con gli Stati Uniti, o meglio appena, un paio di anni fa ha vinto i mondiali con gli Stati Uniti, ma è anche la persona, la donna, che si è rifiutata di andare da Trump per la premiazione. Questa storia qui, se ci pensate, è molto simile, e infatti è un altro testimonial di Nike, a quella di Colin Kopp-Kaepernick, il giocatore di football americano che si inginocchiò quel gesso che oggi vedete fare a tanti, lui è stato uno dei primi a farlo, pagando caramente, pagando con l’esclusione dall’NFL. Però tutti diventano testimonial di un marchio, testimonial non solo di un marchio, ma di una storia, che è la storia di quell’azienda lì. Chiaramente quando noi facciamo storytelling stiamo anche creando una coerenza logico-simbolica. Tutti questi simboli che utilizziamo, i post, l’uso di ambassador, la scelta del prodotto poi da commercializzare, da vendere, ci danno l’opportunità di capire qual è la coerenza logico-simbolica della nostra storia. E quindi ci aiutano a organizzare il cosiddetto caos informativo. Quando voi vi trovate a comunicare per un’azienda, la maggior parte delle volte chi ha già esperienza in agenzia, in azienda lo sa, vi trovate a comunicare un caos. Di solito ci sono tante cose da dire, ci sono tanti valori da far passare, spesso sono banali o sono molto simili tra aziende diverse, quindi lo storytelling serve a organizzare questo caos. Serve a renderlo uniforme se vogliamo, servono a farci capire come attraverso una comunicazione razionale ma al tempo stesso emotiva noi possiamo arrivare a stabilire un legame molto più forte con il nostro pubblico. Perché? Perché il fine ultimo è quello di essere ricordati, di essere compresi e di essere riconosciuti. Io devo riconoscere che quello stile è lo stile della tua azienda e se non hai un’azienda e fai storytelling per te, perché è una cosa che non abbiamo ancora detto ma che è altrettanto importante, è che lo storytelling può essere fatto anche per se stessi, personal storytelling, molti parlano di personal branding, va bene lo stesso, si comunica quello che si è, ma senza storia non si comunica niente. Che cosa comunicate? Infatti fateci caso, chi ha online e non online una buona reputazione ed è seguito ed è ingaggiante, chi fa storytelling, chi comunica soltanto le cose che fa e mette i link delle proprie iniziative o gli articoli che escono su di lui, non va lontano. E chiaramente tutto questo non è molto lontano dall’essere ricordato, dall’essere compreso, dall’essere riconosciuto. C’è una parte del cervello che condivide o meglio che approfondisce meglio delle storie, quindi impara meglio attraverso delle storie. C’è una ragione scientifica alla base di tutto questo. Il nostro cervello è fatto a diverse parti, una parte che comprende i fatti e tante parti che comprendono le storie e ricordano le storie. Quando noi tornavamo da scuola quando eravamo piccoli e nostra madre o nostro padre ci chiedeva come è andata, noi non raccontavamo dei fatti, noi raccontavamo delle storie. Perché non si fa l’elenco cronologico, non è che tu parti dicendo alle otto e dieci sono entrato, poi è andata la campanella, poi è arrivata la professoressa, poi abbiamo fatto questo e quest’altro. Il racconto è una storia, quella più importante, ed è lo stesso motivo per cui noi ricordiamo meglio l’epica della storia. Perché la storia è spesso una serie di eventi cronologici, mi riferisco alla storia che studiamo a scuola, no? Quindi eventi cronologici che si susseguono e ad un certo punto il nostro cervello non ne può più di queste informazioni, perché sono appunto informazioni. L’epica invece ci porta quelle stesse informazioni attraverso dei racconti. E quindi tutti ci ricordiamo che Ulisse è stato 40 anni in mare, tutti ci ricordiamo della Maga Circe, tutti ci ricordiamo del ritorno a Ithaca, perché sono degli archetipi di narrazioni e si fanno ricordare meglio. Gli archetipi servono a ricordare. Se voi guardate delle serie tv, spesso, fateci caso, vi troverete a ritrovare gli stessi archetipi. Adesso nel cito 3, chiaramente quando si cita una serie comincia il giochino io l’ho vista, io non l’ho vista, a me mi fa schifo, però prendiamo tre serie molto simili tra di loro. Gomorra, Narcos, La regina del sud. Tutti e tre legati alla droga, se vogliamo, alla malavita organizzata. In tutti e tre finiamo per amare dei personaggi che sono in realtà dei cattivi, ma li finiamo per amare perché il loro archetipo del cattivo che è un cuore ci porta ad affezionarci a personaggi impensabili. In tutti e tre queste storie c’è il mito del ritorno. Nessuno vuole morire lontano da casa propria, nessuno vuole morire lontano da Napoli, nessuno vuole morire lontano dalla Colombia, nessuno vuole morire lontano dal Messico, perché sono i loro luoghi e sono i luoghi dove devevano ritornare. Quindi la storia, l’archetipo è uno e se uno lo analizza con razionalità dice che noia, ma in realtà non ci annoierà mai perché sono degli archetipi troppo forti. Il ritorno che vale da Foscolo a Zante fino a La regina del sud è sempre quello. Chiaramente lo storytelling è prima di tutto un’attività strategica, è autoriale, perché la narrazione, come dicevamo, è sempre un gesso strategico, è un evento di identità e relazione sociale. Quindi prima di tutto noi dobbiamo pensarle e scriverle, o farle scrivere, perché ci sono dei bravissimi chief storyteller, capi storyteller, che magari non hanno quella capacità, ma hanno una capacità di pensiero e di organizzazione che poi li porta a scegliere le persone giuste che raccontino quelle storie. Quindi attenzione, e lo ripeto per seconda o forse terza volta, anche se non siete voi le persone che scrivono o le persone che raccontano, potreste essere voi le persone che pensano al processo. Mi piace farvi vedere le cose da diverse angolature. Molti di voi conosceranno Batman, la storia di Batman è una, però tu Batman lo puoi raccontare in tante maniere e ritorna il discorso forma contenuto, no? Perché Batman può essere un uomo solo, Batman può essere un uomo ricco, Batman può essere un uomo con un nemico, Robin, Batman può addirittura essere il nemico. E quando voi, chi di voi magari ha visto Joker sa, il film Joker intendo, sa che nel film Joker la prospettiva e la percezione viene completamente capovolta. E viene capovolta perché Joker è un povero, e Joker per la prima volta, avendo l’opportunità a lui di dare il suo punto di vista, questa è una cosa bellissima anche per il regista, svela che tutto sommato tanto buono l’eroe non è perché è figlio di un ricco, perché comunque la ricchezza porta alla disperazione, e alla fine finiamo per empatizzare con il personaggio, ma questa è la bellezza delle storie, perché le puoi raccontare da diverse prospettive, e se voi spostate l’attenzione e spostate la prospettiva, allora avrete davvero lo storytelling, che non è fiction, non è invenzione pura, ma è verosimiglianza, e chiaramente implica una serie di cose, implica studio, implica conoscenza, implica condivisione.