Lezione 1 di 9
In Corso

1.1 Copy Persuasivo Vs Copy Creativo

14 Luglio 2025

Trascrizione

Bene, benvenuti a tutti a questa diretta con Studio Samo. Se ci sono problemi di rete chiederò a Jacopo di venire fin qui e mettermi lì a posto. Oggi parliamo di copywriting persuasivo. Il tema penso che sia interessante perché è un tema trasversale che non riguarda questo o quello strumento in particolare, ma riguarda proprio la comunicazione, in particolare la comunicazione scritta. Avremo modo di entrarci. Volendo si potrebbe anche evitare quella parola persuasivo nel senso che il copywriting dovrebbe essere persuasivo per definizione. Il copywriting, anche se oggi si ne fa un uso estensivo di questa parola, in realtà nasce proprio come scrittura per la pubblicità. Diciamo così, poi entriamo un po’ meglio in questa definizione o scrivere per vendere, scrivere per ottenere risposte con delle finalità e la persuasione dovrebbe essere compresa già nella parola copywriting. Però vedremo dopo perché oggi si tende anche a parlare di copywriting persuasivo per distinguerlo da altre forme di copywriting, o comunque per distinguerlo magari da quello che è un po’ più diversamente webwriting o scrittura editoriale per porre l’accento sull’aspetto di persuasione. Cominciamo con questa storia. Tanto qua rivendico una paternità. Anni fa, appena uscì questo film che voi tutti avrete visto, The Wolf of Wall Street, poco dopo avrei avuto l’avventura di essere il primo a usare la citazione di The Wolf of Wall Street in uno speech a un evento di webmarketing. Però adesso vedo che lo usano tutti, ma forse sono stato il primo io. Lo uso perché? Perché c’è una scena tra tante chiavi di lettura, però c’è una scena interessante del film che, in realtà, è nel finale, nel momento in cui il protagonista sta facendo un corso sulla vendita. Si rivolge a uno dei partecipanti che sta in prima fila, anzi a un paio di partecipanti che lo guardano un po’ sbigottito, e gli dice vendimi questa penna, chiedendo a loro di trovare le parole per vendere una penna. Compito difficilissimo trovare il modo di vendere una penna con le parole. Infatti le persone stanno zitte anche perché prese di sorpresa. Non è semplice e non è semplice farlo in maniera immediata. Si tratta di fare dei ragionamenti ed è attraverso questi ragionamenti, e sviluppando una sensibilità che spero di riuscirvi a trasferire, che appunto possiamo pensare di fare azioni in cui andiamo a raccontare, a scrivere e a cercare di usare le parole per fare un’azione di vendita. Ma vedremo che non è solo una questione di vendita, di transazione di denaro, è qualcosa di più. E allora mi sono anche chiesto, ma come viene venduta una penna oggi in rete? Ecco, se andiamo a vedere un sito che vende penne, ecco come è venduta una penna online. Qua c’è scritto la linea più famosa delle penne Parker, cappuccio clip e pulsanti in acciaio inossidabile e puntali in elegante plastica colore blu. Questo è il copy più specifico, in mezzo a questo ci sono tanti testi, ma per vendere questa penna il copy scelto è stato questo. Lo vediamo qua. E’ sufficiente? E’ il modo con cui si può giocare un test per vendere una penna? Allora, faccio un altro esempio che invece mi ha colpito. Questa foto l’ho fatta proprio due giorni fa. Ero a Milano, io non vivo a Milano, penso si senta tranquillamente dal mio accento, sono veneto. A Milano ci vado poche volte, però mi ha colpito questo totem da terra appostato sulla discesa delle scale mobili, perché è invece un ottimo esempio di utilizzo di copywriting con questa sensibilità spiccata per l’azione. Infatti si trova proprio nel punto in cui le persone scendono dalle scale mobili. Non è che c’è solo il logo del bar che si trova accanto sulla sinistra e i prezzi, ma ci sono proprio quegli elementi che distinguono una sensibilità copy tesa a individuare un problema, comunicare un beneficio e chiamare all’azione. Infatti in alto c’è scritto, sei appena arrivato, che è esattamente la situazione che vivono le persone che passano di fronte a questo totem nel momento in cui scendono dalla stazione. Tanto è vero che se il totem, se mi sono dimenticato di fare la foto dall’altro lato, che invece è in salita, cambia il copy. In quel caso sono le persone che salgono e il copy dall’altra parte dice, fretta di partire. I due copy, a seconda del lato in cui vedi il totem, intercettano due momenti di comportamento diverso, due necessità diverse. Da una parte uno che è appena arrivato, quindi può avere fame, può avere voglia di prendersi uno snack per riempire un buco sullo stomaco. Dall’altra invece c’è qualcuno che può avere fretta di partire, sta salendo alle scale mobili con fretta di raggiungere i treni, però magari ha anche un buco nello stomaco e vuole un posto che velocemente gli serva un panino, in questo caso, e risolve il suo problema di quel momento. Un esempio emblematico, sotto c’è anche il beneficio. Sopra vediamo, sotto il headline, si è appena arrivato e sopra il price, il price indistinto dei prezzi. Cioè, pronti in un attimo, a partire da questo bar, piuttosto che agli altri che ci sono nella stazione. Poi c’è una freccia, tipicamente quasi da web, per portare l’azione perché è di là che si trova il posto, sulla sinistra e sulla destra. Comincia da qui, da lì, infatti, appena al lato, si può fare subito la richiesta e coordinare. E poi, tre secondary benefit, speedy takeaway, ribadisce in realtà il main benefit, il beneficio principale. Poi c’è anche la free wifi e c’è anche una recharge station, già ti diamo, dove questi ultimi due non sono gli argomenti di vendita. Non è, fermati qui perché ti ricarichiamo, fermati qui perché c’è la wifi, ma fermati qui perché le facciamo le cose velocemente, ok? E’ esattamente quello che ti serve, in più ti diamo anche questi benefici. Anche il link al sito internet, accessorio, ovviamente i simboli di Facebook, eccetera. Perfetto esempio, anche per dimostrare che davvero si tratta il ragionamento sul copywriting. Non è un ragionamento che va calato su un mezzo singolo o specificatamente web, ma è un approccio alla comunicazione necessario, perché a meno che non ci comunichiamo con grugniti, in qualche modo, le parole dobbiamo usare. Possiamo anche usare tante immagini, ma ci sono dei livelli per cui le immagini non possono bastare. Qualche parola va sempre usata, anche al di fuori del web. Quindi dall’idea di vendere una penna così, all’idea invece di vendere un panino così, c’è un mondo ed è il mondo che cercheremo di esplorare. Copywriting persuasivo. Dicevo prima che la parola persuasivo potrebbe anche essere tolta, ma perché oggi si tende ad usarla? Perché viene un po’ posto in contrasto con quello che è il copywriting creativo, quasi ponendo un’antitesi fra due modi di fare copywriting. Uno più fondato sulla creatività e uno più fondato sulla persuasione. In realtà, il sottoscritto che vi parla non crede che vi sia un primato tra i due approcci. Nota appunto che a me piace il copywriting. In tutto sommato, la definizione non mi piace né creativo né persuasivo, appunto mi piace il copywriting. Però noto che esistono due fazioni, due mondi, due scuole di pensiero, ma non è che lo noto, è nei fatti che è così. Il mio punto di vista, in realtà, è un punto di vista più univoco, adesso lo vediamo. Però entriamo nella distinzione, nel contrasto, se volete, anche tra copywriting con approccio persuasivo e copywriting con approccio creativo. Perché in realtà entrare in questa dialettica è istruttivo, cioè ci insegna delle cose, ci fa vedere delle realtà che poi, come vi ho detto, sono vere entrambe. Allora, io ho fatto proprio uno schema con una corona in cui c’è il copywriting creativo e dall’altra c’è il copywriting persuasivo. Uno degli aspetti della persuasione è proprio in realtà che per far capire e portare le persone all’azione è anche importante far notare le differenze, porre i valori in relazione l’uno contro l’altro in maniera che la scelta si possa plastificare, si possa rendere visivamente e percettivamente chiara. Vediamo alcune cose. Il copywriting creativo, se dovesse avere un secondo nome, in realtà viene chiamato anche tante volte brand copywriting. Un secondo nome del copywriting persuasivo può essere copywriting a risposta diretta. Adesso vediamo perché. L’approccio del copywriting creativo tendenzialmente è umanistico, mentre l’approccio del copywriting persuasivo tendenzialmente è scientifico. Io credo, anzi ho abbastanza convinto, che in realtà siano vere entrambe le cose. Cioè anche il copywriting creativo ha un approccio e deve avere una parte di approccio scientifico e viceversa il persuasivo lo dimostra nei fatti che deve capire l’uomo, quindi ha un approccio umanistico. Però chi sposa la causa del copywriting persuasivo pone molto l’accento sull’aspetto della scientificità. Tutto misurabile, tutto calcolabile, forse anche prevedibile. Dall’altro invece c’è l’approccio tipicamente umanistico e anche artistico, direi. Le finalità. Il copywriting creativo si scrive per generare un’immagine, una percezione di immagine del brand, del prodotto. Invece il copywriting persuasivo dice che la finalità mia è generare una vendita, generare la vendita. Ma in realtà per il copywriting creativo la finalità dell’immagine è il presupposto per generare vendita, anche se non vuole arrivare fino a quel punto finale. Ma d’altra parte il copywriting persuasivo per generare vendita non può prescindere totalmente da quella che è l’immagine mentale che la persona si è fatta della proposta che gli viene data, la immagine da come viene collocata, dai significati che gli dà. Quindi vedete che sono schematismi che servono a stagliare delle predilezioni per, diciamo, gli assolutisti. Io non sono un assolutista in questo senso, però c’è questo approccio assoluto da entrambi le frazioni, per sottolineare le proprie diversità e porsi in contrasto con l’altro approccio. Per il copywriting creativo il copywriter è appunto un creativo, per il copywriting persuasivo è un venditore. Il copywriting creativo raggiunge il suo scopo quando costruisce un’identità, mentre per il copywriting persuasivo quando fa compiere a chi legge una o più opzioni tracciabili. Magari l’unica cosa che ti chiederei, se non ti dispiace, è di chiudere la telecamera e lasciare solo l’audio perché secondo me migliora un attimo la qualità dell’audio. Secondo me è una cosa empirica questa, però l’importante è che si leggano bene le slide e non vedermi in faccia. Intanto ti leggo la domanda di Daniela, che chiede quanto il copywriting, a prescindere dal modus, può influenzare strategie SEO o viceversa. Nel senso, l’esempio dello shop che ci hai mostrato prima, quello della penna, sembra che sia voluto a sacrificare volutamente la creatività per un altro tipo di obiettivo, a differenza invece di uno più fisico come quello del totem alla stazione di Milano. Fisico, Daniela intende, nel senso di concreto, tangibile e nell’immediato. Quindi, secondo le interpretazioni di Daniela, se ho ben capito, la differenza è anche dovuta al fatto che ogni tanto il copywriting viene un po’ sacrificato dalla SEO, nel senso che alcuni approcci alla scrittura sul web degli ultimi anni sono stati un po’ rovinati dall’ossessione per le keyword. Forse questo è il punto. Daniela fa notare che il totem, essendo offline, non ha il problema di posizionarsi sul metodo di ricerca e quindi se ne frega delle keyword ed è più naturale ed è anche migliore come copy. Quindi la domanda per Alessandro è questa. Quanto il copywriting viene sacrificato dalla strategia SEO e viceversa, secondo te, nella tua esperienza? Certo, è sicuramente un fattore, ma direi di più, non solo il copywriting. Ci sono anche esigenze di un altro tipo che possono essere linguaggio di un certo tono di voce dell’azienda che prevede certe scelte piuttosto che un’altra, certi fattori di identità, così come le esigenze di grafica e di fotografia. Alla fine è sempre un compromesso in cui ci sono varie esigenze, ma la SEO ha le sue esigenze, il graphic design ha le sue esigenze, il copy ha le sue esigenze, eccetera, e si tratta di trovare un punto di intersezione. La buona scelta è quella di capire qual è il miglior punto di intersezione, a volte bisogna capire qual è il progetto, l’obiettivo a cui si sta tendendo, e può essere che, se l’obiettivo è il traffico del motore ricerca, quell’obiettivo va a definire anche i limiti di altri fronti della comunicazione. Altre volte, invece, la parte SEO può essere messa in secondo piano, oppure star tutti sullo stesso piano. Quindi, trovare la ricetta, l’equilibrio giusto fra tutti questi elementi è una delle arti di chi deve poi trovare la migliore sintesi possibile. Ora, nel caso di Viking, che abbiamo visto prima, sicuramente ci può essere. Direi che secondo me era pessimo che il livello SEO, in realtà, perché il testo di descrizione era così breve e così povero di contenuto, che secondo me non era nemmeno buono per un motore di ricerca. Infatti non ho voluto parlare del titolo di quella scheda prodotto perché il titolo è chiaramente orientato a farsi trovare, innanzitutto da Google, ma anche all’interno del sito stesso. Chi fa una ricerca risponde anche alla logica di usabilità. Per esempio, l’usabilità del testo. Io, a me piace anche, scusate, ogni tanto vi suggerisco qualche libro. È uscito un libro che mi sto leggendo molto bello, consiglio a tutti i copywriter, a tutti i webmarketing, che si chiama Language Design, che affronta il tema del design del linguaggio. Di solito si parla sempre del design come qualcosa di no. Il design del linguaggio per l’usabilità, online e offline. Quindi, anche l’usabilità ha le sue esigenze. A volte è meglio usare una parola che le persone capiscono in navigazione e chiaramente li porti a non pensare, secondo il detto dell’usabilità, a fare la scelta corretta di navigazione che non a perdersi dietro altre suggestioni. È un libro in italiano, scritto da una ricercatrice italiana, mi sembra molto bello. Anche nello stile è scritto in maniera molto godibile. Mi sembra pubblicato da Apogeo. LM – Ragazzi, per far condiviso tolgo anche la mia faccia, che magari risparmiamo un altro po’ di banda. Comunque, intanto sono arrivate altre domande. Più che domande, ci sono una serie di considerazioni. Adesso, se riesco a leggerle, perché oggi pomeriggio sono impedito con la piattaforma. Giada dice, o magari può anche dipendere da dove viene posizionato il testo. Magari a munte di un testo stringato e semplicemente descrittivo c’era un copy più coinvolgente. Giada, se ti riferisci all’esempio delle penne, non credo che ci fosse, sinceramente. DL – Ma ti posso assicurare che era esattamente quello? LM – Era esattamente quello. Intanto Danila dice, ok, certo, certo. Io non comperei mai per quella penna. Io posso aggiungere da SEO una cosa. Molto spesso la SEO rovina il copy, se è intesa male. Ovvero, se siamo schiavi delle regole regoline regoluce, per esempio del semaforo di Yoast, faccio un esempio che conosciamo tutti, è chiaro che potremmo fare un copy di merda, consentitemi il francesismo. Però non dobbiamo fare questo. Questo non vuol dire fare SEO. Fare SEO veramente vuol dire anche fare un ottimo copy che sia persuasivo. L’unica differenza a livello proprio SEO, quindi a livello di Google, è quella di evitare le espressioni idiomatiche. Come diceva in un intervento poco fa Francesco Margherita sul gruppo Fatti di SEO, se noi diciamo delle frasi fatte, Google potrebbe non capirle. Per esempio, se noi diciamo per il rotto della cuffia, Google non ci capisce una mazza e questo potrebbe andare a causare dei problemi. E’ meglio usare poche metafore, poche frasi idiomatiche a livello Google. Questa è l’unica differenza e per il resto essere persuasivi è essenziale anche nella SEO. Non è detto, Federico, che bisogna essere poco poetici. Sì, è vero. In certi casi è vero. Bisogna essere didascalici. Le metafore le lasciamo stare perché potrebbero depistare l’algoritmo che è stupido, sebbene sia come macchina intelligente. E’ stupido per essere un essere umano, confrontato a un essere umano, quindi eviterei sicuramente delle forbite metafore. Ma questo, secondo me, vale anche per lo stile giornalistico in generale, non solo per la SEO. Poi, Alessandro, ti lascio la parola. Non voglio prendere risposte. Io sarei sempre per le lezioni così, in cui c’è un dialogo. Infatti, Margherita, che oltre al nome è floreale, si è scelto SEO Garden. Lui ha scelto una metafora. Tutto è basato sulla botanica per il motore di ricerca. Non mi sembra che Google lo abbia scambiato per un giardiniere. Evidentemente è riuscito a trovare un modo metaforico senza calcare eccessivamente la mano. Se io scrivo in una maniera totalmente metaforica, in cui forse anche un umano comincia a non capire se sono un giardiniere o solo un esperto di motore di ricerca, faccio confusione al motore di ricerca. Ma se trovo la giusta dose… Alessandro, ti racconto un aneddoto. Qualche anno fa, quando Google era più stupido, il famoso tagliaerbe, quindi il mitico Pozzi che tutti conosciamo, riceveva un sacco di lead per la vendita di tagliaerbe. Purtroppo, grazie al cielo, Google ha fatto passi avanti e quindi anche Francesco sa benissimo che il blog di Francesco Margherita non è un blog di giardinaggio e adesso sa anche che il blog di tagliaerbe non è un blog di giardinaggio. Però in passato era così e oggi comunque dobbiamo stare un po’ più attenti e non calcare troppo la mano, come dice giustamente Alessandro. E’ ovvio che se calchiamo troppo sulla metafora, Google potrebbe confondere. Sì, il tagliaerbe è anche un film del 92, quello da cui in realtà Davide ha tratto il nome, però gli arrivavano un sacco di lead che volevano acquistare il tagliaerbe. LM» Un’ultimissima osservazione, anche rispetto a Viking, perché là c’è un altro, se volete, problema ancora. Quelli sono i commerce che alberano decine di migliaia di prodotti. Ora, sapete cosa volevo dire? Mettere mano, che un essere umano mette mano all’ottimizzazione SEO e anche persuasiva, di decine di migliaia di prodotti, o centinaia di migliaia, non so quanti ne abbia Viking, non è così semplice. Per cui non era certo un modo di dire, ah, quelli là sono sicuramente bene quello che fanno, però certamente non è un buon esempio. La guardo solo ed esclusivamente da una prospettiva, che è quella del copyright di persuasiva, non è un buon testo. Poi però ci sono tante altre prospettive che devono essere messe insieme, perché alla fine i nostri progetti devono non avere un punto di vista talebano che li guida, l’unico punto di vista è quello di portare il risultato finale nel miglior modo possibile, quindi anche con i costi più sostenibili. Quindi si tratta di trovare la giusta intersezione per gli obiettivi che ci si è posti. Chiaramente adesso noi guardiamo solo un punto di vista, che è quello della scrittura, però poi questo punto di vista va sempre messo insieme ad altri punti di vista. E su questo io sono il primo a portare la bandiera, ecco. Fantastico. Io ti ascolto e chiudo il mio audio, Alessandro, perché non ci sono più domande e tu vai pure avanti con le slide. Perfetto, perfetto. Sempre in questo parallelismo dialettico, gli adepti di chi sposa l’approccio del copywriting creativo si considerano brand builders, cioè gente che costruisce marche. Da là invece degli ad venditori capaci di generare denaro assonante. Anche qua non è vero, perché per essere un buon hard seller magari devi lavorare molto sul brand, ma un brand builder che non si preoccupi dei risultati di vendita del brand che sta costruendo, no, non va bene. Quindi anche qua sono punti di vista privilegiati sullo stesso mestiere, che poi coinvolgono anche tecniche diverse, ma non sono così in opposizione come chi sposa una causa o l’altra e vorrebbe sostedere. Questa è una battuta, ovviamente. Il copywriting creativo è di sinistra, il copywriting persuasivo è di destra. Entrando nelle tecniche, parlando per esempio di quello che è un titolo, per il copywriting creativo cosa deve fare un titolo? Il titolo deve carambolare e completarsi con il visual, chiudendo il messaggio come una fucilata. Per quel punto di vista là, per entrambi, il titolo è la cosa più importante. Però hanno due considerazioni su questa importanza diverse. Per chi sia come copywriting creativo, spesso è un rapporto copy-visual che può chiudersi lì e deve arrivare come un missile nella tua mente e dirti una cosa, lasciarti un’impressione forte. Invece nel copywriting persuasivo l’idea è che il titolo abbia un approccio più complesso, cioè tiri l’attenzione, può contenere più o meno esplicitamente la promessa, ma deve assolutamente spingere a proseguire la lettura. Se si chiudesse là, non è un buon titolo secondo quella prospettiva. Mentre per il copywriting creativo tutto sommato è una buona cosa. Anche qua esistono esempi di copywriting creativo, di gente che si considera brand builder, anzi di grandi padri del brand building, che hanno scritto dei titoli che veramente ti risucchiavano nel leggere la body copy, quindi non è mai in assoluto così. Però questo è un po’ sempre l’approccio diverso. C’è anche una diversa considerazione della parte visuale, grafico-fotografica. Per il copywriting creativo è fondamentale. Difficilmente troverete un copyright che non dia un grande peso, lui per primo, all’aspetto visivo e fotografico. Magari la fotografia non c’è, possono essere anche dei cosiddetti copyhead, cioè degli annunci, tutti basati sul copy, però l’aspetto della sensazione grafica deve essere forte. Ma spesso, in realtà, il copy pensa anche con quale immagine deve dialogare. Pensa sempre che lui è una metà della comunicazione e l’altra metà è visiva. Il copywriting persuasivo, invece, tende ad avere un approccio più assolutistico della parte scritta, in cui la parte grafica è tutto sommato secondaria, non si è bruttina, anzi il concetto di bello-brutto è veramente non importante. E la grafica è tutta in funzione, semplicemente, della leggibilità del testo. Cosa che, devo dire, ogni tanto viene proprio tradita nel copywriting creativo. Cioè c’è della grafica che rende illegibile il testo, il che è prima di tutto tradimento della grafica, perché la buona grafica nasce come immaginazione delle parole. Per cui, una grafica che rende poco leggibile un testo fa un tradimento di se stessa. Comunque, ecco, c’è una diversa sensibilità rispetto al mondo visivo a parte di due approcci.

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