Impara a scrivere e-mail che non sembrino minacce di morte – Lezione 1
Trascrizione
Allora, buon pomeriggio a tutti di nuovo e ben trovati con me. Sono molto contento di questo piccolo momento di riflessione che con Samu abbiamo l’occasione di affrontare, perché è una cosa che ci diciamo già da molto tempo con anche Jacopo. La questione delle email, al di là del semplice topic dell’email marketing, è fondamentale. Questa lezione, come potete vedere dalle slide, ha un titolo spiritoso, perché come scrivere email che non sembra una minaccia di morte ovviamente vuole esserlo. Però c’è un fondo di verità e il fondo di verità è che spesso siamo troppo presi dalla foga del momento e non abbiamo la reale idea di quello che è esattamente un email. Quindi mi sono detto facciamo un passo indietro e alla luce della mia esperienza nella composizione scritta vediamo di capire esattamente cosa c’è dietro un email e per quale motivo poi molte email rischiano di sembrare delle minacce di morte. Allora vediamo se riesco ad andare avanti con questa slide, eccoci. Chi sono io? Io sono Matteo Bortolotti, alcuni di voi forse mi conoscono già, per chi non mi conosce ho un sito internet che è MatteoBortolotti.it, lo vedrete poi attaccato a tutte le slide. Sono uno scrittore, uno sceneggiatore, un esperto di comunicazione e di leadership comunicativa. Mi occupo infatti, e questa è la mia ossessione, di storie e siccome molte cose sono storie, molto della nostra vita è una storia, ho un sacco di impegni e di possibilità di approfondimento. Nello specifico per il marketing, il web marketing, l’advertisement, mi occupo più semplicemente della questione del copywriting, ovviamente, di quello che in Italia adesso chiamiamo storytelling, un termine che va tanto di moda, quindi tutto quello che è la narrazione nella comunicazione sia commerciale che la cosiddetta narrazione del brand. Quindi mi occupo anche di branding, della parte soprattutto legata alla leadership, quindi ai valori e ai principi che può contenere la comunicazione di un’azienda e questo lo faccio anche per i professionisti e ovviamente gran parte del mio lavoro è il raccontare storie vere e proprie, siano queste fittizie, siano queste storie reali. Mi occupo di scrivere, ho il mouse che è molto sensibile, mi occupo appunto di scrivere film, telefilm, alcuni di voi forse hanno visto l’Ispettore Cogliandro, io sono stato sceneggiatore di una parte di questi episodi che avete visto soprattutto nella parte dell’establishment, della fondazione tra virgolette del personaggio. Ho scritto libri che vedete, alcuni sono novelizzazioni da serie televisive, altri appunto sono l’esatto contrario, sono libri scritti che poi sono diventati serie televisive o film. Ho lavorato più o meno con tutti gli editori italiani sia come editor che come scrittore, quindi sia come carnefice che come vittima sacrificale, scherzo ovviamente, e nel 2015 ho fondato e creato, ideato per conto del Comune di Pieve di Cento, il primo museo civico di digital storytelling italiano nel museo della Rocca di Pieve, che appunto contiene oltre al percorso repertale tradizionale anche circa 200 interviste di singoli cittadini che raccontano la loro storia individuale, familiare e anche in parte quella della comunità del paese. Ogni tanto mi capita di andare in televisione, molto spesso mi capita di interagire con il pubblico, sia si tratti di una lezione di scrittura creativa, di sceneggiatura o appunto di comunicazione, piuttosto che appunto lavori più legati alla parte di narrativa di cui mi occupo, che è il giallo. Sono infatti un giallista e su questo ho appunto scherzato con il titolo di questa piccola lezione e con alcuni altri piccoli dettagli che andremo a vedere più avanti. Allora, per parlare dell’email dobbiamo fare un passo indietro e dobbiamo parlare di che cos’è la comunicazione. Ora, direte per quale motivo partire così alla lontana? Perché abbiamo dei dati, e ve li mostrerò più tardi, che ci dimostrano quanto importante sia ancora per ciascuno a livello globale l’utilizzo dell’email, molto più di qualsiasi altro mezzo conversazionale come ad esempio i social network, come l’instant messaging, quindi tutto quello che è ibrido ormai fra social network e messaggistica, whatsapp, messenger, telegram e così via, e di quanto invece ancora un aspetto formale e riflessivo possa avere invece l’email, la corrispondenza elettronica. Quindi facciamo un passo indietro. La comunicazione. Comunicazione deriva dal verbo comunicare, come vedete nella slide, molto semplice. Significa mettere in comune in latino, ovvero condividere. Significa che quando noi condividiamo una storia, quando noi raccontiamo qualcosa, quello che stiamo cercando di fare è di arrivare all’altro e di negoziare insieme un mondo comune. Per chi ha già visto alcune altre mie lezioni o qualche mio intervento dal vivo, io di solito parto sempre dalle neuroscienze per spiegare in parte quale può essere il ruolo delle storie nella nostra vita e perché sono così importanti. La scienza in realtà negli ultimi 60 anni ci ha dimostrato abbondantemente quanto le storie siano fondamentali per il nostro cervello, per imparare, quindi per l’apprendimento e per la mappatura del mondo che ci circonda. Perché è proprio questo che cercano di fare le storie. Il nostro cervello, la nostra parte più narrativa risiede nell’emisfero sinistro e è questo emisfero sinistro che Gazzaniga, un celebre scienziato, neuroscienziato, chiama l’interprete e ci racconta costantemente il mondo che ci circonda. Questa narrazione costante che accompagna ogni secondo della nostra vita in realtà altro non è che il nostro sistema di navigazione nel mondo, sia spaziale che cognitivo, che ovviamente nelle nostre relazioni. Raccontare storie quindi fa parte di questo mondo di condivisione che è la comunicazione. Quando non raccontiamo storie? Mai, perché ogni informazione che noi scambiamo di fatto è una storia. Il nostro cervello non distingue le fake news dalle nozioni reali fino a che appunto non sviluppa un sistema di fact checking, di confutazione, che però riguarda più i meccanismi cognitivi che le sensazioni che prova il nostro cervello quando invece riceve un’informazione. Allora che cosa comunichiamo? Comunichiamo pensieri, comunichiamo sensazioni, emozioni, comunichiamo sentimenti, o almeno ci proviamo, e comunichiamo opinioni ed esperienze. Ho lasciato come ultime queste due cose perché sono quelle che comunichiamo maggiormente. L’esperienza da un lato, cioè i fatti che ci accadono o che vorremmo che accadessero o che in generale vogliamo in qualche modo testimoniare, e le opinioni. Opinioni che oggi hanno un rilievo enorme nella vita di tutti quanti noi perché appunto tendono ad essere al centro della nostra comunicazione. Nel mondo conversazionale dei social network le opinioni fanno la differenza, in tutti e due i sensi, nel senso buono e nel senso cattivo, dove per senso buono possiamo intendere che esprimere le nostre opinioni ci mette in una posizione critica e quindi necessariamente ci costringe a farci un’idea del mondo, e dall’altro, ahimè, anche quello che ci confrontiamo con le opinioni degli altri, spesso ne veniamo sommersi e questo ci porta o rischia di portarci o a avere opinioni che non sono nostre, fare nostre le opinioni di altri sentendoci influenzati o semplicemente non volendo prendere una nostra posizione, oppure è peggio ancora avere una grande confusione e non riuscire perché ci sono troppe opinioni a trovare una strada per averne una nostra. Questa è una cosa che capita sui grandi numeri, ovviamente io mi riferisco in questa ora all’individuo che è in noi, a quella persona che appunto è in grado e vuole affermare la propria coscienza e che lo fa attraverso un percorso razionale, che noi vedremo insieme diventare una specie di piccolo breviario su come affrontare questa comunicazione, sempre partendo dall’idea che la comunicazione è uguale a scambio, se voi non volete scambiare niente allora sappiate che non è possibile, l’unico modo di non scambiare niente è non comunicare, ma si comunica in tanti modi, tanti di questi modi non sono la parola, non sono la voce, non sono nemmeno le email, infatti si dice che i livelli di comunicazione, scusate devo un sorso l’acqua, non fateci caso è il sottobicchiere, i giallisti sono persone strane, i livelli di comunicazione sono tanti e in realtà però li possiamo ridurre a 2 barra 3. Io qui li ho divisi in tre per il semplice motivo che volevamo mostrarvi cosa sta a metà strada tra il verbale e non verbale. Il verbale appunto è quello che ho usato finora in gran parte ma non del tutto, sono le parole che siano orali o scritte, il paraverbale che sta in mezzo a come dire fra il verbale e non verbale è il tono, è la modalità con la quale noi interloquiamo, con la quale noi cerchiamo la comunicazione, il non verbale è tutto quello che non riguarda la parola e quindi i nostri gesti, il modo in cui ci comportiamo, il tono della voce che usiamo piuttosto che il tono della scrittura. Tante, tantissime sono le modalità con le quali poi questi tre livelli o due livelli e mezzo se vogliamo si declinano. C’è da considerare che spesso puntiamo il nostro obiettivo su un solo di questi aspetti e ci dimentichiamo degli altri. Non so se qualcuno di voi ha mai visto la serie Lie to me, era una bella serie televisiva con Tim Roth che parlava di questo scienziato che riusciva a leggere le microespressioni facciali, per un po’ è andata molto di moda. Si basava sulla vita e sulle ricerche di uno scienziato realmente esistente che ha studiato per molto tempo le espressioni microfaciali e in generale il linguaggio non verbale delle persone. Gran parte di quello che si dice nella serie televisiva Lie to me, anche se esasperato, è reale. Si può capire se una persona tendenzialmente non è sincera attraverso la lettura delle espressioni microfaciali o della direzione nella quale puntano i suoi occhi. Abbiamo molti dati scientifici ma sappiamo che ogni persona è diversa e quindi bisogna calibrare ovviamente i nostri dati che sono stati raccolti con la persona con la quale si ha a che fare, però è sicuro che ciascuno di noi reagisce in determinati modi, molti di questi si sono standardizzati negli anni con l’esperienza, a determinate situazioni e non sempre lo sa. Quindi fa comodo avere un occhio che ci guarda da fuori per capire meglio come ci comportiamo quando diciamo determinate cose. I truffatori ad esempio, quelli professionisti, si allenano per anni davanti allo specchio proprio come gli attori per non dissimulare mai la menzogna che stanno cercando di portare a terme, ma andiamo, che stanno cercando di concretizzare, andiamo oltre. Allora comunicazione e email. Per ragionare sull’email dobbiamo chiederci prima di tutto da dove vengono, un po’ come abbiamo fatto con la definizione di comunicazione, che abbiamo detto è scambio. Ecco, le email vengono da molto lontano, da molto prima che venisse inventata la comunicazione elettronica. Sono di fatto una delle prime forme scritte di comunicazione, tanto che addirittura ci sono degli esempi celebri di narrativa scritta attraverso le lettere, romanzi epistolari si chiamano. Perché? Perché appunto davano una sensazione immediata di dialogo con chi leggeva. Se io scrivo un romanzo fatto di lettere, ovviamente chi legge quello che riceve è come un messaggio diretto a lui stesso. Famosi esempi, celebrissimi esempi di romanzi epistolari sono le ultime lettere di Jacopo Ortiz, di Ugo Foscolo, e forse il più famoso in assoluto, ahimè molto più famoso di Seneca, è proprio Bram Stoker. Il romanzo Dracula di Bram Stoker è per la maggior parte un romanzo epistolare. In alcuni casi apre il diario personale stenografato dei protagonisti, ma quasi l’intero romanzo è coperto dalle lettere, dalle lettere che ciascuno dei protagonisti spedisce all’altro. E da lì capiamo come prosegue la storia. Ecco, quanti livelli di comunicazione allora può coinvolgere una lettera? Perché di questo stiamo parlando? Ecco, l’email è ancora oggi, nel 2019, vissuta come una lettera. Io sono del 1980, scusate, e vengo da prima di internet, vengo da prima anche del sistema degli smartphone, della telefonia mobile. Vengo da prima di tutto, c’era solo il Commodore quando ero piccolo io, e ho visto nascere e cambiare la modalità della comunicazione. La mia generazione, che forse è una delle ultime che ha avuto a che fare con la carta in maniera, come dire, coercitiva, perché non c’era altro, sicuramente continuerà ad utilizzare il mezzo della lettera elettronica, della corrispondenza elettronica, in un modo simile o con la stessa serietà con la quale aveva preso e prendeva la carta. Le nuove generazioni però hanno ereditato questa forza, tant’è che un recente sondaggio dice che anche i giovani e gli adolescenti americani, ad esempio, vivono l’email come una forma di comunicazione molto più privata, molto più intima rispetto a qualsiasi altra modalità di comunicazione, e quindi anche più riflessiva. Perché? Perché quando scrivi una lettera, continuiamo a chiamarla così per un po’, quando scrivi una lettera ti siedi e scrivi, e scrivi a un’altra persona che sta da un’altra parte, un po’ come se fosse uno scrittore che sta scrivendo un romanzo per i suoi lettori, e hai degli obiettivi, hai delle modalità, puoi anche scrivere senza obiettivi, per carità, se si tratta di una mail, di una lettera che non è di lavoro, ma di fatto quando scrivi ti lasci andare e si suppone che dall’altra parte qualcuno un giorno riceverà quello che stai scrivendo. Ecco, questa è la forma classica della lettera, che serviva sia per questioni personali, amicali, addirittura storie d’amore infinite sono state testimoniate dalle lettere che si sono scambiate alle persone nel corso di centinaia e centinaia di anni, anzi mi verrebbe da dire di millenni, ma anche comunicazioni ovviamente più brevi e più concise di tipo professionale, anche se anche queste non sono mai avulse dalla questione dell’umanità, perché se attraverso i sistemi di messaggistica ci possiamo permettere qualche emoji e qualche gif in più, con una mail ancora dobbiamo entrare nella mente degli altri attraverso le parole e con la cautela necessaria di chi entra in casa di qualcun altro, e questa è una cosa interessante perché è come se in un certo senso la nostra società stesse resistendo a una tracimazione della comunicazione rinchiudendosi in piccoli spazi che ancora hanno una tempistica diversa, una modalità diversa di utilizzo. Quando non utilizziamo questa modalità, quando la perdiamo di vista, è lì che cominciano i problemi di comunicazione attraverso le email, perché i livelli di linguaggio che affronta una corrispondenza elettronica sono tutti, non sono solamente le parole che usiamo, ma anche il modo in cui impaginiamo un’email, il modo in cui scriviamo le frasi di saluto e di commiato, piuttosto che il font, il colore, la firma stessa che scegliamo. Sono tutte piccole accortezze che in realtà fanno parte della modalità e quindi quella a linguaggio paraverbale che è parte integrante di una comunicazione, come se io oggi qui mi fossi presentato da voi in canottiera e mutande. Fare determinate cose con le parole giuste magari, ma nel modo sbagliato, sicuramente non aiuta e non agevano la comunicazione. Quindi, importantissima la topografia del testo di una mail. Parto da qui perché è una delle cose che spesso non consideriamo. Quando un romanzo è scritto troppo piccolo, quando non ci sono le giuste spaziature, quando i dialoghi non sono ben sottolineati dalle distanze tra i paragrafi, quello che succede è che si fa fatica a leggerlo, può essere un capolavoro, ma se non c’è la giusta copertina, se non c’è la giusta modalità con la quale i capitoli vengono scansiti, non funziona. E quindi, se non volete che le vostre lettere finiscano al macero, cominciate da qui, cominciate a pensare come dovrebbe essere d’aspetto una mail per essere letta, per essere letta e consumata soprattutto, perché uno dei problemi principali che ci sono è che poi chi si impegna troppo nell’impaginarla spesso combina un casino incredibile. E ci arriviamo.