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Google Analytics: saper valutare i KPI delle tue campagne di web marketing – Lezione 1

13 Giugno 2025

Trascrizione

Buongiorno a tutti, oggi ci divertiamo un po’, nel senso che facciamo qualcosa di un po’ diverso rispetto a quello che si vede normalmente sul web in questi webinar dove si continua a parlare sempre di strumenti, strumenti, strumenti, strumenti. Oggi l’idea è questa, di fare un piccolo corso molto verticalizzato sulle campagne di marketing, dove sostanzialmente noi cercheremo di capire come valutare una campagna di marketing dal momento del suo concepimento fino al momento della sua realizzazione e quindi della consumtivazione dei dati. L’idea è questa, ogni volta che noi abbiamo un cliente, se lavoriamo per clienti esterni oppure all’interno della nostra azienda concepiamo un’attività che è un’attività di marketing, dobbiamo fare i conti sul fatto che questa attività dovrà darci prima o poi dei benefici a fronte di un costo di realizzazione, costo di realizzazione che può comprendere evidentemente varie voci. Allora, come facciamo a valutare i costi e benefici delle nostre attività, soprattutto nel momento in cui abbiamo un’idea di base? Come facciamo a capire se quest’idea è valida dal punto di vista economico, ci porterà dei benefici? Dobbiamo utilizzare dei modelli, ma questi modelli non possono essere fatti a caso, hanno bisogno di essere improntati ad un certo rigore scientifico. Per poter fare questo, ovviamente, abbiamo bisogno di lavorare, come al solito, sui numeri. E allora, cerchiamo di capire come si vautano e come soprattutto spiegare al cliente o al proprio capo i KPI, i cosiddetti, vediamo cosa sarà solo più avanti, delle nostre campagne di marketing. Allora, inizio ad apporci una domanda fondamentale. Cosa vuol dire valutare una campagna di marketing? Innanzitutto, naturalmente, vuol dire determinare gli obiettivi. Ogni volta che noi facciamo una campagna di marketing, questa campagna è legata a degli obiettivi specifici. Dobbiamo stabilire che cosa vogliono fare, qual è la finalità della nostra attività. Una volta che abbiamo deciso quali sono gli obiettivi, dobbiamo valutarne la fattibilità, ovvero noi decidiamo che abbiamo un obiettivo X, un obiettivo qualsiasi. Quanto possiamo essere sicuri che la nostra campagna, così come la stiamo architettando, sarà in grado di portarci verso l’obiettivo che noi abbiamo stabilito essere la nostra meta, il nostro punto di arrivo. A quel punto, una volta che avremo capito come fare a raggiungere questo obiettivo e se la campagna è in grado di raggiungere questo obiettivo, evidentemente il passaggio successivo sarà quello di poter creare intorno alla campagna una serie di parametrizzazioni, si chiamano, ossia di elementi distintivi della campagna stessa tali da poterci consentire poi a Val di valutare la campagna a consumtivo, quindi a fine attività. Il nostro problema è evidentemente quello di riuscire a isolare la campagna e a poter valutare tutte le metriche, tutte le quantità, quindi a livello economico, a livello di impression e quant’altro, che riguardano la campagna stessa. Se la campagna è fatta di più sotto attività, di più sotto campagna, evidentemente dovremmo essere in grado di creare dei parametri distintivi che ci consentano allo stesso momento di disaggregare, quindi di valutare separatamente ogni sotto campagna, ogni gruppo di annuncio ad esempio, usando il linguaggio di Facebook o di AdWords e nello stesso tempo di aggregare tutti questi elementi e separarli rispetto alle altre campagne. Evidentemente l’aspetto dei test è sempre eraguato. Quando noi inventiamo una campagna, una volta effettuate le prime valutazioni a priori, senza aver fatto la campagna, avremo bisogno di un’ulteriore validazione della nostra attività. In questo caso dovremmo effettuare dei test, quindi andare non con la campagna in estensione, ma andare con dei piccoli carotaggi, diciamo, delle piccole attività che ci consentano di prevedere quale potrà essere il risultato più probabile per la campagna effettiva, per la campagna dove metteremo molti più soldi. Questa attività non è un’attività semplice in realtà, anche se molti la spacciamo per semplice, per cui vedremo qual è la metodologia giusta per poter testare una campagna e vedremo quali sono i modelli che ci consentiranno poi di valutare la campagna a partire dal test. Infine creeremo un conto economico di valutazione della campagna. Che cosa ci serve il conto economico? Ci serve per poter consultivare l’attività, analizzarla e per poter soprattutto, ancora una volta, comunicare i risultati della campagna stessa a chi, al nostro capo, allo stakeholder, al cliente, a chiunque ci abbia commissionato questa attività. Bene, partiamo dalla testa, partiamo dalla determinazione degli obiettivi, perché non è una cosa semplice determinare gli obiettivi, soprattutto non è semplice spesso per un cliente avere a che fare con un’analisi degli obiettivi che sia un’analisi di carattere quantitativo. Non più tardi di ieri parlavo con un cliente che mi rendeva conto, che mi chiedeva conto dell’attività di una campagna Facebook, guardando la metrica sbagliata, ossia guardando i ricavi che questa campagna avrebbe dovuto portare, nonostante si trattasse di una campagna di branding, per cui poco orientata alla vendita. Per cui spesso c’è, da parte del nostro cliente o da parte del nostro capo, una scarsa consapevolezza di collisione di obiettivi finali delle attività che noi svolgiamo online. Allora proviamo a questo punto a stilare un piccolo elenco ragionato delle tipologie di campagne più diffuse, in maniera da poter valutare i KPI relativi alle campagne stesse. Allora partiamo da quelle classiche, una campagna di branding che cos’è? Non è nient’altro di una campagna che è mirata ad un target specifico, normalmente più o meno ampio, in genere piuttosto ampio, ed ha lo scopo di far conoscere e far diffondere il brand che noi intendiamo pubblicizzare. Il brand o il prodotto o il servizio, evidentemente, si tratta di campagne a largo spettro, non hanno una finalità immediata di acquisto, ma l’obiettivo è appunto quello di guadagnare l’attenzione del target, guadagnare un’attenzione interessata, ossia il nostro target si spera potrà trarre da questo tipo di campagna una indicazione sul fatto che esiste il nostro prodotto o che noi siamo sul mercato e che siamo anche degni, in qualche modo, di fiducia, per cui campagne di branding. Un po’ più sotto nell’ideale funnel di acquisto rispetto alle campagne di branding ci sono le campagne di regeneration. Le campagne di regeneration hanno gli obiettivi completamente diversi, stavolta non è soltanto un problema di riconoscibilità del brand o di cosiddetta brand awareness, per dire l’americana, ossia del fatto che il brand diventi conosciuto e riconoscibile, ma si tratta di fare un’opera di convincimento presso il nostro target. Noi dovremmo convincere, insomma, il nostro target, che stavolta si spera sia un target che abbia acquisito una consapevolezza del nostro brand, a entrare in contatto con noi. Entrare in contatto con noi vuol dire, normalmente, lasciarci i propri indirizzi di contatto, fisici o digitali che siano. Questo può avvenire sia attraverso una campagna di acquisizione lead su Facebook, in questo caso i lead corrispondono spesso ai followers sulla pagina Facebook, più probabilmente si tratterà di un’acquisizione a carattere nominativo effettuata su delle landing page, utilizzando dei cosiddetti lead magnet, ossia delle call to action, dei form che consentano una facile compilazione dei campi che contraddistinguono il singolo lead o prospect che sia. Esistono ancora campagne di content distribution, ossia di distribuzione di contenuti. Quando noi architettiamo un’attività inbound, ad esempio può essere appunto una serie di articoli all’interno di un blog aziendale, spesso ci poniamo il problema di dover diffondere questi contenuti, distribuirli presso una platea più vasta possibile, perché altrimenti dovremmo aspettare che qualcuno li cerca. L’obiettivo di questo tipo di campagna, pensate ai post sponsorizzati su Facebook ad esempio, è quello di creare autorevolezza nel proprio mercato. Attraverso quindi gli articoli del blog, e quindi la distribuzione di questi contenuti, ma possono essere contenuti anche di altro genere, il nostro obiettivo sarà quello di acquisire il più possibile una visibilità che è una visibilità associata ad una autorevolezza data appunto dai contenuti che noi stiamo veicolando. Parliamo in questo caso appunto di campagne di content distribution. Andando avanti e scendendo ancora un po’ di più nel funnel, abbiamo le cosiddette campagne di intercettazione della domanda latente, che è un modo molto ampio per dire campagna, come ad esempio sono le campagne display o le campagne di advertising su Facebook. In questo caso abbiamo un obiettivo più immediato, più più concreto, che è quello di far conoscere e possibilmente di vendere i nostri prodotti o i nostri servizi presso un target. Il target sarà evidentemente quello che sappiamo potrebbe avere un interesse potenziale per i nostri prodotti e servizi, ma che non ne ha conoscenza, e quindi noi a fronte di questo potenziale, quindi a fronte di questa domanda che non è una domanda espressa ma è una domanda ancora latente, andiamo in un’attività di push, quindi di proposta attiva dei nostri prodotti o dei nostri servizi presso questo pubblico. Il pubblico non ha espresso una domanda consapevole e quindi parliamo di intercettazione della domanda latente. Dall’altra parte rispetto alla domanda latente c’è la domanda consapevole, in questo caso è il pubblico, è il target a effettuare una ricerca e saremo noi a voler intercettare questa volta questa ricerca attraverso delle campagne di advertising, ad esempio quelle su AdWords, su Google search o su Bing, campagne di advertising che hanno lo scopo di intercettare questa domanda espressa e portarla verso il nostro sito web. Una volta che noi abbiamo acquisito un lead faremo un altro tipo di campagna che stavolta è associabile ancora ad una campagna di branding che si chiama campagna di lead nurturing, in questo caso il nostro obiettivo ancora una volta non sarà la vendita ma sarà, o non soltanto la vendita, non immediatamente la vendita, ma sarà soprattutto mantenere un contatto attivo con i clienti o con i lead che abbiamo acquisito nell’arco del nostro processo di acquisizione di lead o clienti. In questo modo manteniamo l’attenzione sul brand, ricordiamo che esiste il brand, ricordiamo che siamo bravi a fare determinate cose, a vendere determinati prodotti e insomma manteniamo in qualche maniera viva e vitale l’attenzione del brand. Spesso le campagne di content distribution contengono anche una parte di lead nurturing quando sono rivolte a un target che già ci conosce e che già è entrato in contatto con noi e non a un target freddo o che mantiene ancora una certa distanza. Infine abbiamo le campagne di retention, le campagne di retention sono quelle che sono mirate ad un riacquisto, presso i nostri clienti già acquisiti. Quindi abbiamo un parco clienti, selezioniamo una parte di questo parco clienti che potrebbe essere più promettente, potrebbe più probabilmente portare ad un riacquisto e lo sollecitiamo a riacquistare, magari utilizzando degli sconti temporanei o delle corsie preferenziali o dei vantaggi che sono preclusi ai clienti nuovi. Campagne di retention sono importantissime per mantenere un equilibrio all’interno di un business. Bene, questi sono i tipi di campagna che mi sono venuti in mente, che sono più note e che più facilmente incontriamo nel momento in cui facciamo un’attività di web marketing. Quindi sono più o meno formalizzate all’interno di un percorso che va dall’awareness fino al nurturing per l’appunto, è suddivisa nelle tre attività di Tofu, Top of Funnel, Mifu, ossia Middle of Funnel e Bofu, ossia Bottom of Funnel. Evidentemente si tratta di campagne che hanno finalità e modalità operative molto diverse tra di loro, per cui sono valutabili a partire da delle metriche e delle attività di analisi quantitativa molto diverse tra di loro. Allora, quel che è vero è che, dato che abbiamo parlato di tanti tipi di campagne differenti, dalle campagne di branding alle campagne di retention, noi non possiamo pensare minimamente di valutare questo tipo di campagna utilizzando un solo modello, una sola modalità di analisi, un solo set di metriche. Ogni campagna, ogni tipologia di campagna, ma io direi addirittura ogni campagna, già che ogni campagna ha delle specificità proprie, dovrà essere analizzata partendo da KPI specifici, quindi da metriche specifiche, che ne possano facilitare una lettura ragionata della performance. Allora, partiamo dal principio però, KPI. Abbiamo parlato di KPI fin dal titolo. Cosa vuol dire KPI? Vi ho sentite tante a questo proposito, cerchiamo di darvi un’interpretazione corretta di cosa voglia dire la parola KPI. Allora, io lo traduco così, KPI, sappiamo che l’acronimo significa Key Performance Indicators, quindi indicatori chiave di performance, traduciamo un po’ più liberamente con cose da guardare sempre. Un KPI non è nient’altro che una metrica che ci dovrebbe guidare e ci dovrebbe far ragionare su come sta andando la campagna, su quale sia la performance. Noi possiamo leggere mille dati relativi ad una campagna, ma alcuni, i cosiddetti KPI, non dobbiamo mai perderli di vista. Quindi, detto in maniera un po’ più articolata e un po’ meno sintetica, il KPI è una metrica che lavora come una cartina attorno a sola. E’ una metrica che è in grado di darci immediatamente un contributo nella comprensione di come sta andando un’attività, un business, una campagna, quello che ci pare, in relazione, attenzione, ricordiamoci sempre, in relazione a degli obiettivi che ci siano posti. Quindi la lettura di un KPI non è mai una lettura in senso assoluto, non è che una metrica va bene o va male in senso assoluto. Va bene o va male in relazione a degli obiettivi che non ci siano posti, che non sempre sono obiettivi, tra parentesi, di natura strettamente economica. E quando si tratta di obiettivi di natura strettamente economica non sempre sono volti al guadagno, a volte possono essere volti al pareggio, o possono essere volti semplicemente all’acquisizione di un cliente nuovo entro una certa soglia di perdita, sapendo che questo cliente diventerà un cliente attivo entro un tempo X, perché magari la nostra attività è quella di vendere software e service, ad esempio. Quindi quando parliamo di marketing analytics e di KPI in relazione alla marketing analytics parliamo di KPI come di alcune metriche che si qualificano come più importanti delle altre in quanto riescono a darci delle informazioni chiave su alcuni fenomeni che riguardano appunto la nostra attività o le nostre campagne, ad esempio il traffico, ad esempio l’engagement, ad esempio il tasso di conversione o l’efficacia del nostro processo di conversione e di acquisizione dei clienti, oppure parliamo di metriche addirittura di lungo periodo, il cosiddetto lifetime value, il valore futuro di un cliente dato dalla capacità, dalla nostra capacità di portare il nostro cliente a ricomprare progressivamente nel tempo.

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